Essere accompagnante internazionale dei diritti umani

In Guatemala sono presenti diverse ONG a sostegno e tutela dei diritti umani e della salvaguardia del territorio, fra cui ACOGUATE, attraverso la quale sono venuta a conoscenza della realtà del paese e del ruolo della cooperazione internazionale.

Sono trascorsi cinque mesi dal mio arrivo e il compito che mi è stato assegnato è quello di visitare le comunità assumendo il ruolo di accompagnante: gli operatori nella regione Ixcan/Coban, quella in cui sono ubicata, visitano le famiglie, si riuniscono con le autorità locali, scambiano informazioni, raccolgono testimonianze.

Le nostre uscite comportano una permanenza nei villaggi di due o tre settimane consecutive, visitando in media sei, nove comunità ogni volta. Una comunità può essere formata da trenta famiglie fino ad arrivare a cento. Al nostro arrivo ci presentiamo alle autorità locali le quali ci attribuiscono un alloggio: a volte dormiamo con le famiglie, condividendo il loro spazio, altre, invece, usufruiamo di scuole o infermerie.

La nostra giornata tipo inizia alle sei del mattino e termina alle venti. Normalmente la mattinata è dedicata alle nostre esigenze personali: lavarci al fiume, fare il bucato, scrivere. Poi raggruppiamo le informazioni ricevute, prepariamo per le riunioni che seguiranno. Il pomeriggio, al rientro del lavoro dei “campesinos”, ci fermiamo a condividere le informazioni con autorità, famiglie o gruppi di persone involucrate nella lotta.

Le persone vivono come i nostri bisnonni o nonni, in modo molto semplice. Le case sono costruite con assi di legno e coperte da un tetto in lamiera. All’interno una tavola di legno forma un letto, i più abbienti hanno una separazione tra la zona cucina e la zona riposo, per altri invece tutto si trova nel medesimo locale. Non c’è elettricità e quando cala il buio, la vita continua a lume di candela o con delle torce. Non c’è acqua corrente: quella utilizzata per cucinare e lavare proviene da un pozzo o dal fiume più vicino.

Tutti i giorni mangiamo con le famiglie, non mancano mai le “tortillas”, accompagnate perlopiù da uova e fagioli. I pasti rappresentano un momento di scambio importante che ci dà la possibilità di ascoltare i racconti tragici del conflitto armato interno, oppure parliamo delle differenze culturali tra il loro paese e il nostro, dell’importanza dell’educazione dei figli, e dei compiti svolti delle donne.

Usciamo sempre in due, la mia partner è statunitense, paese che rappresenta una fuga dalla miseria per gran parte di loro, molti hanno famigliari emigrati negli Stati Uniti per trovare migliori opportunità di lavoro. La Svizzera invece è sconosciuta, lontana e misteriosa.

Nella regione di Ixcan/Coban accompagniamo principalmente due associazioni: ACODET e AJR.

ACODET, la “Asociación de comunidades para el Desarrollo, la Defensa de la Tierra y de los Recursos Naturales”, è nata nel 2008 per difendere il territorio da progetti come la diga denominata “Megaproyecto hidroeléctrica Xalalà” e rappresenta trentasette comunità ubicate vicino al fiume. Nel 2009 è stato documentato l’impatto economico, socioculturale e ambientale che il progetto di costruzione della diga provocherebbe. Le comunità coinvolte sono novantadue, quarantotto verrebbero inondate e le restanti rimarrebbero invece senza acqua. Un totale di 29’885 persone perderebbero la casa e i terreni minando così la loro sopravvivenza. Il progetto idroelettrico diventerebbe il secondo più grande del paese che, porterebbe energia elettrica alle grandi imprese, ma penalizzerebbe le comunità circostanti. I “campesinos” affermano di non essere contro lo sviluppo, certo vogliono l’elettricità nelle loro case, ma non a questo prezzo.

AJR, invece, è la Asociación para la Justicia y la reconciliación” che è nata nel 2001 e comprende ventidue comunità in cinque regioni del paese dove è avvenuto il genocidio. L’epoca più cruenta del conflitto armato interno (durato dal 1960 al 1996) ha avuto luogo tra gli anni ’81 e ’83. Durante questi anni l’esercito ha adottato una strategia molto aggressiva attaccando “las fuerzas guerrilleras” e, nelle aree imputate di dare appoggio alle forze in resistenza, sterminando tutti i membri del gruppo etnico di ascendenza maya del Guatemala definiti simpatizzanti della ideologia comunista delle forze insorgenti. Nel 2001 l’AJR inoltrò una denuncia contro l’allora presidente José Efrain Rios Montt per genocidio, crimini di guerra e delitti contro l’umanità, esprimendo la voce dei famigliari delle vittime e esigendo giustizia. La risposta da parte del governo fu il totale disinteresse sia per le vittime, sia per i loro famigliari. I rappresentanti dell’associazione non hanno, però, mai perso la speranza e continuano nella lotta pacifica.

La lotta che le comunità continuano a portare avanti ha lo scopo non solo di far conoscere la verità ma anche garantire giustizia, impedire che tali atti si ripetano e salvaguardare l’esistenza di comunità intere e la loro etnia. I rischi dei testimoni sono costanti, ma sono il risultato della volontà e del grande coraggio di rompere il silenzio nonostante la paura, le minacce, l’indifferenza sociale e l’inattività della giustizia. La voce e la forza dei sopravvissuti sta nelle loro grida “QUEREMOS JUSTICIA!”.

Il sostegno e la solidarietà delle ONG e la visibilità internazionale assumono perciò una grande importanza in questo percorso contro la corruzione, verso la giustizia e la conquista dei diritti democratici. Essere, nel mio piccolo, partecipe di questa trasformazione mi riempie di orgoglio e ha fatto sorgere in me una maggiore consapevolezza di quello che l’essere umano può raggiungere con la forza di volontà.

Anna, Guatemala, 21.3.16

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