Corozal Arriba: dalla gioia alla tragedia
La storia del popolo Maya Ch’orti percorre i secoli e ancora le sue radici nelle civiltà che precedettero l’invasione spagnola. La sua distribuzione geografica attraversa le frontiere che dividono gli Stati di Guatemala, Honduras e El Salvador. Per quanto riguarda la storia recente, il popolo Maya Ch’orti condivide con gli altri gruppi etnici originari del Guatemala diverse lotte politiche e sociali: la rivendicazione di riconoscimento in quanto popoli indigeni, il processo di memoria storica e giustizia transizionale per il genocidio subito durante la presidenza di Rios Montt (1982/83), la resistenza ai mega-progetti in campo idroelettrico ed estrattivo e la lotta per l’accesso alla terra in quanto proprietà collettiva dei popoli ancestrali per diritto di occupazione storica.

Discorso di Elodia, presidentessa di Comundich.
Corozal Arriba è il nome di una delle molte comunità rurali e contadine Ch’orti situate nella parte orientale del Guatemala, nel dipartimento di Zacapa e nella municipalità di La Unión. Insieme ad altre quarantotto comunità indigene, forma parte di Comundich, un’organizzazione di carattere civile che si dedica alla promozione dei diritti del popolo Maya Ch’orti e che Acoguate accompagna dal 2007. La storia recente di Corozal Arriba si incastra in quella del popolo Maya Ch’orti e si caratterizza per alcuni fatti avvenuti nel 2013, i quali hanno marcato irrimediabilmente gli ultimi anni della sua esistenza.
Il 6 giugno 2013, dopo un processo legale durato anni, il consiglio municipale di La Unión riconosce Corozal Arriba in quanto comunità indigena, in linea con l’accordo 160 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIT). Tale riconoscimento apre le porte, in agosto dello stesso anno, alla consegna dei titoli di proprietà della terra ai membri della comunità, fino ad allora costretti a lavorare per latifondisti che detenevano il controllo della stessa. Fra questi latifondisti appare la famiglia Vilma Chew Casasola, già implicata in passato in denunce e rappresaglie contro membri della comunità di Corozal Arriba. Lo stesso 6 giugno 2013, cinque uomini – apparentemente contrattati proprio dalla famiglia proprietaria Wilma Chew Casasola – penetrano nella comunità e uccidono tre contadini: Catalino Perez, Juan de Dios Alonzo e David Almazan. Nell’incursione, anche Harrison Zuñiga, uno dei cinque sicari penetrati nella comunità, viene ucciso con un colpo di arma da fuoco e due ferite da arma bianca.
Dopo anni di investigazioni a senso unico, nel mese di maggio 2017 quattro contadini della comunità di Corozal Arriba vengono arrestati, accusati dell’omicidio di Harrison Zuñiga. In luglio e poi a inizio ottobre altre due persone vengono arrestate, mentre sono emessi mandati di cattura per ulteriori undici contadini della stessa comunità. L’accusa è uguale per tutti: l’omicidio di Harrison Zuñiga.
Contrariamente a ciò e malgrado le pressioni da parte della comunità, il Ministero Pubblico sembra non essere interessato a fare luce sulla morte dei tre contadini, avvenuta lo stesso giorno di giugno del 2013. Solo nel 2017, a quattro anni di distanza e dopo la denuncia presentata contro il procuratore del Ministero Pubblico di Gualán per non aver eseguito investigazione alcuna, vengono emessi ordini di cattura contro i presunti assassini dei tre contadini. Ad oggi, tuttavia, essi sono ancora in libertà e vi è un’alta probabilità che abbiano già fatto perdere le proprie tracce.

La comunità di Corozal Arriba.
La criminalizzazione della protesta sociale
Il caso di Corozal Arriba è soltanto uno fra i molteplici esempi di un fenomeno ben conosciuto in Guatemala e in molti altri paesi dell’America Latina: la criminalizzazione dei popoli indigeni e dei difensori dei diritti umani. Tale fenomeno è direttamente relazionato alla conflittualità sociale che deriva dalla questione della proprietà e dell’uso della terra, in particolare nei casi di presenza di operazioni estrattive, di monocoltura o di idroelettrica. Secondo i dati di UDEFEGUA (Unità di Protezione a Difensori di Diritti Umani in Guatemala), nel 2016 si sono registrati 223 attacchi a difensori di diritti umani, 493 nel 2015, 813 nel 2014 e 657 nel 2013.[1]
La criminalizzazione della protesta sociale si definisce come la messa in atto, da parte dello Stato, di strumenti politici, giuridici e giudiziali che permettano di decretare illegali e illegittimi alcuni fra diritti civili fondamentali.[2] L’obiettivo è quello di osteggiare le funzioni di attivisti e difensori e di delegittimare le lotte collettive, tacciandole come illegali, violente e definendole in molti casi come pratiche di terrorismo. La creazione di un nemico pubblico dello Stato, della sicurezza e dello sviluppo economico, è altresì una pratica costante di diffamazione. L’uso del codice penale da parte degli organi repressivi è infine parte integrante del processo di criminalizzazione e comporta che le violazioni dei diritti umani contro difensori e attivisti si realizzino secondo le seguenti modalità: arresti, atti di violenza durante assemblee e riunioni, minacce, restrizioni alla libertà di movimento, impedimento di adunate collettive.[3] Nella maggior parte dei casi, queste misure cautelari estremamente rigide collidono con il principio di presunzione di innocenza.
Il caso di Corozal Arriba appare come un esempio lampante di criminalizzazione della lotta sociale poiché risponde a diverse caratteristiche tipiche di questo fenomeno. In primo luogo, traspare con grande evidenza un elemento che da secoli segna lo statuto etnico e giuridico dei popoli originari in Guatemala: la mancanza di accesso alla giustizia. Tale mancanza implica al contempo un alto livello di impunità nei confronti di chi commette reati contro i diritti degli stessi popoli o contro i difensori dei diritti umani e dell’ambiente.[4] Il caso di Corozal Arriba dimostra che se da un lato sono state effettuate investigazioni ed emessi mandati di cattura, procedendo all’arresto di varie persone e alla criminalizzazione collettiva di un’intera comunità per l’omicidio di una persona, d’altro lato non sono state fatte ricerche alcune per determinare la responsabilità dell’omicidio di tre contadini indigeni. Al contempo, la stessa accusa di omicidio che ha portato al compimento di severe misure cautelari si basa su testimonianze non oggettive rilasciate da persone non estranee ai fatti, che nei giorni successivi agli stessi dichiararono di non sapere nulla ma che a seguito di un’ulteriore convocazione presso il Ministero Pubblico nel settembre 2017, avrebbero cambiato idea. Ad oggi, infatti, si tratta della testimonianza di uno dei cinque sicari che entrarono nella comunità il 6 giugno 2013 e di quella di un contadino della stessa comunità, parte di quelle diciassette persone contro cui è stato emesso un mandato di cattura. Appare evidente che entrambi i testimoni abbiano dei buoni motivi per accusare altre persone e migliorare così la propria posizione di fronte alla giustizia.
Un altro elemento tipico del fenomeno di criminalizzazione e che ritroviamo nel caso di Corrozal Arriba è dato dalla portata dell’accanimento giudiziario e dal valore simbolico che essa porta con sé. Il fatto che siano stati emessi diciassette mandati di cattura e che ci siano già cinque prigionieri per il presunto omicidio di un’unica persona, sembra voler lanciare un messaggio chiaro: da un lato che la repressione ha il potere di toccare chiunque e in qualsiasi momento, e dall’altro che l’intera comunità è colpevole. Ciò comporta una delegittimazione della comunità stessa e della sua lotta per il riconoscimento dell’identità indigena oltre che per la proprietà della terra: il processo di diffamazione e criminalizzazione restituisce infatti l’immagine di una comunità criminale, che senza motivo alcuno si è macchiata dell’omicidio di un funzionario. A ulteriore prova di ciò, si osserva che due dei cinque arrestati sono autorità indigene ancestrali e quindi rappresentanti ufficiali della comunità: il sindaco e il tesoriere. Di nuovo, si nota come la criminalizzazione abbia voluto colpire l’immagine e il nucleo identitario della comunità di Corozal Arriba.
La difesa della terra
Il fenomeno della criminalizzazione coincide spesso e volentieri con situazioni di conflittualità sociale dovute alla presenza di imprese transnazionali e di interessi contrapposti quanto alla proprietà, all’uso e alla difesa del territorio. Nel caso di Corozal Arriba e più in generale del popolo Maya Ch’orti, è proprio il processo di rivendicazione dell’identità indigena e del conseguente possesso della terra che ha comportato la risposta repressiva da parte di Stato e latifondisti. Contrariamente a molte delle lotte dei popoli originari nelle altre parti del paese – le quali si presentano spesso come resistenze di fronte a piani di saccheggio di risorse e territori da parte di imprese private – il popolo Maya Ch’orti si è focalizzato negli ultimi anni nella ricerca di metodi legali che permettessero di dimostrare giuridicamente il proprio diritto alla proprietà della terra. Così – oltre al passaggio obbligato del riconoscimento in quanto comunità indigene attraverso l’accordo 160 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIT) – le autorità ancestrali, Comundich e alcuni avvocati, hanno iniziato a seguire negli scorsi anni anche una strategia parallela con l’obiettivo di asserire la proprietà della terra da parte dei popoli indigeni nello stesso Registro Generale della Proprietà. Ciò ha portato in alcuni casi al ritrovamento di documenti risalenti al XVIII secolo che confermano il possesso di tale diritto da parte di alcune comunità Ch’orti. In questo modo, oltre a Corozal Arriba, negli ultimi anni anche le comunità di El Guayabo, Tachoche e Tizamarté hanno raggiunto importanti risultati e vittorie, suscitando naturalmente l’indignazione dei poteri forti.
Sull’onda di questa lotta per la riappropriazione della terra, la difesa giuridica degli arrestati per i fatti del 6 giugno 2013 intende seguire una strategia di difesa che sappia rispondere alle accuse mosse secondo la logica della criminalizzazione. Per questo motivo, l’idea è quella di contestare il trattamento dell’omicidio di Harrison Zuñiga in quanto caso giuridico a se stante e di ricollocarlo invece all’interno di un processo di lotta sociale per il diritto alla proprietà della terra. Al contempo, vi è la volontà di denunciare gli abusi delle autorità nell’emanare le misure cautelari e l’iniquità di trattamento di fronte all’omicidio dei tre contadini di Corozal Arriba. L’obiettivo finale, dentro e fuori dai tribunali, è quello di sfruttare i pochi spazi di democrazia per restituire giustizia a loro e a tutto il popolo Maya Ch’orti.
Tullio Togni, Guatemala Ciudad, novembre 2017
Immagine in evidenza: I popoli indigeni dietro la bandiera del Guatemala.
[1]Acoguate, La situación actual de los defensores y las defensoras de la tierra y territorio, un constante peligro bajo observación, 6 de febrero 2017. https://acoguate.org/2017/02/06/la-situacion-actual-de-los-defensores-y-las-defensoras-de-la-tierra-y-territorio-un-constante-peligro-bajo-observacion/
[2] Cfr. Comision Internacional de Juristas, Criminalización de la protesta social, Ginebra, Suiza, p. 3.
[3] Cfr. Asamblea General. Sexagésimo Período de Sesiones. Los defensores de los derechos humanos. Nota del Secretario General. 5 de septiembre 2006.A/61/312.
[4] Cfr. Organización de pueblos indígenas Guatemala, Informe Alternativo, CERD, 86 periodo de sesiones, 2015, p. 48.